DDMO

In Phone.com / Openwave godevo di una certa libertà di movimento in quanto valido eccentrico, ma non di sufficiente potere decisionale per sviluppare il discorso personale che avevo in mente. Perciò decisi di metterlo in piedi per conto mio come una sorta di esperimento.

Richiamai una serie di vecchi amici che pensavo avessero le qualità sia umane che professionali per aiutarmi a farlo: Maxo Ruggiero, bravissimo disegnatore/illustratore, che non vedevo da almeno 10 anni; Filippo De Vita, conosciuto ai Mondiali di Nuoto, versatile e entusiasta business developer dal talento misto simile al mio; Igor Schiaroli, altro meticcio di genio versato negli affari come nell’hi-tech. Maxo lavorava da poco nella web agency Deepend con un gruppo di altri bravissimi artechnicians: Edoardo Cianfanelli, Federico Ciamei e Ugo Malatacca. Insieme costituimmo un bel team e creammo DDMO: un profondo concept fortemente in anticipo sui tempi, un metodo capace, una notevole presentazione e una splendida collezione di contenuti originali per i cellulari di allora – loghi, suonerie, giochi, ecc. – con l’obiettivo di far riempire a TIM il guscio vuoto della sua nuova offerta M-Services, la cui tecnologia ben conoscevo essendo prodotta da Phone.com. Completava la proposta una serie di alleanze commerciali con software house e integratori amici di varie dimensioni (Etnoteam, Broadvision, Quinary, K-Solutions) per chiudere il cerchio con le infrastrutture e completare la value-chain. Era la classica win-win situation: vantaggi per tutti. L’avevo studiata bene. Mancava solo l’oste.

Le presentazioni al Marketing (a Cristina Tagliabue e Marco Decio soprattutto) suscitarono reazioni a dir poco entusiaste. Arrivammo a crederci moltissimo: Massimo Rovelli, nuovo capo del MK, ce l’aveva quasi promessa. Eravamo vicini al contratto e molto felici.

Invece dopo poco tutto si sgonfiò di nuovo: la policy di TIM era di legarsi solo a provider famosi. Così fini DDMO. Ma certo non finirono i legami e le esperienze che aveva generato.